Mar 3, 2020

Dov’eri, ieri notte?

Un intruso in casa. Il coraggio di salvarsi.

L’intruso

Era una notte d’estate come molte altre. Vento appena fresco a lenire la calura siciliana e a distribuire l’eco dei clacson senza sonno, che sono i grilli o le cicale della città, a seconda dell’orario. Mi ricordo come adesso quella sensazione di un elemento fuori posto. La realizzazione improvvisa, nel dormiveglia, che ci fosse un intruso in casa.
Aprii gli occhi.

Johnny Stein, Environment as Self-Portrait

Avevo dieci anni e, lì per lì, non ebbi paura. Strano. Anni della mia infanzia a evitare gli angoli bui per paura dell’ignoto, eppure eccomi, con un estraneo a poca distanza e il dato di fatto di essere sola in casa, con mia madre.

Da dove si era introdotto? Dalla porta d’ingresso non era possibile, l’avrei sentito armeggiare con il chiavistello. L’unica, improbabile maniera di entrare sarebbe stata calarsi dal tetto, con due scelte: il balcone della mia camera o la finestra che portava alla stanza di mia madre. Ma non si poteva raggiungere camera mia, quella notte, perché, nella mia lotta contro le zanzare, avevo chiuso la serranda.

Sapevo che era lì – che lui, era lì. Il fatto che si trattasse di un uomo era parte integrante della mia certezza senza spiegazione.
Un’irragionevole calma mi fece alzare e poi aprire la porta della mia stanza, comunicante con quella di mia madre. L’istante dopo, la scarsa luce bastò a mostrarmi quello che io già sapevo.

Immobile

Nel letto c’era un uomo. So che sembrerà assurdo ma, per come l’avevo sorpreso, con il lenzuolo fin sopra gli occhi spauriti, dava l’impressione di essere lì per dormire, non per rubare. E io volevo credere che fosse in difficoltà, arrivato lì per riposarsi da un mondo esterno che non glielo concedeva, ma perché allora si era coricato con quelle scarpe sporche di terra che spuntavano da sotto l’altro capo del lenzuolo?

Un altro fatto era allarmante: di mia madre non c’era traccia, l’intruso aveva preso il suo posto e se ne stava immobile, come di cera, nel ridicolo tentativo di celare la sostituzione. Sperai che fosse andata a fare una passeggiata. Non era verosimile, nel bel mezzo della notte, ma i clacson, i grilli della città, davano al mio cervello una via di fuga per lei. La mia calma prese, impercettibilmente, a vacillare.

Senza cuscino

Lui mi guardava. Credo pensasse di avere abbastanza oscurità a suo vantaggio, bloccato in un’inerzia che esasperava la tensione. Avrei fatto qualunque cosa per increspare quello stallo insopportabile.

Così feci un passo avanti. E gli parlai.

«Io ignoro i motivi che l’hanno portata qui, e per onore non glieli domando. Ma come può una persona intrufolarsi in una casa e credere di poter dormire nel letto di una donna come se niente fosse? E dov’è finita, mia madre? Dov’è?»

Sempre immobile, l’uomo sbatté lentamente gli occhi.

Provai rabbia per quell’individuo, che se ne stava come un pesce ostinato sul fondale melmoso delle sue scarpe sporche.

«Mia madre è stanca. La lasci dormire e se ne vada.»

Non so perché dissi quella cosa sulla stanchezza. Non era stata esattamente una giornata spossante. Eravamo state al mare a Tonnarella. La fatica era stata tutta nel trovare parcheggio. Ma non era quello il punto e io ero stufa di giocare a scacchi con un intruso, aspettando vanamente che muovesse. E poi, stavo cominciando a rendermi conto che l’adrenalina mi aveva messo in una situazione pericolosa.

Cercai di non dare tremore alla mia voce e diedi avvio alla mia strategia di uscita.

«Ora, io penso il bene delle persone e credo che si trovi qui per necessità. Non ha una casa dove stare? Ha la mia comprensione e la mia vicinanza. Ma non può stare qui.» Glielo dissi ancora, per essere convincente: «Non può stare qui

Mi resi conto solo allora di avere portato con me il mio cuscino. Un gesto inconscio, un istinto di rifugio. Per un istinto simile, glielo porsi.

«Prenda questo. Glielo regalo. Ora io me ne torno in camera mia. Lei però se ne deve andare.»

Non riuscii più a trattenere il tremore. Mi voltai. Solo che invece di andare verso la porta e scappare, me ne tornai veramente a letto. Ancora oggi non me ne spiego il motivo. Forse esausta da quella che era stata un’esperienza traumatica, forse tanto terrorizzata da non accettare del tutto l’avvenimento, mi addormentai, senza interruzioni di sonno, senza incubi, senza cuscino.

Dov’eri, ieri notte?

Fu proprio la mancanza del cuscino, al risveglio, a dirmi che il surreale incontro notturno era avvenuto davvero. Il profumo del caffè fu il sollievo più grande: mia madre stava bene. Corsi verso il terrazzo, in cui stava facendo colazione. Era serena ed energica, come al solito.

Sapendola finalmente al sicuro, non potei fare a meno di infuriarmi per la sua assenza, che era stata anche mancata protezione.
Quasi esplosi.

«Dov’eri, ieri notte? Cosa hai fatto?!»
«Cosa hai fatto tu! »

Date le circostanze, ignorai la sfida della contro-domanda  e spiegai nel dettaglio gli eventi della notte precedente, finché la sua ilarità non iniziò a insospettirmi.

«Aspetta un attimo… Che ho fatto… veramente?»
«Ah, quasi lo stesso che hai detto tu» mia madre cercava disperatamente di non soffocare dal ridere. «Sei entrata in camera mia, mi hai schiaffeggiata con il cuscino come se mi sfidassi a duello e poi mi hai gridato: “ALZATI, MAIALE!”»

Ed è così che scoprii di essere sonnambula.