Giu 9, 2023

Barilla, Lilli e il Vagabondo e il canigrammo

Barilla ci insegna quanta pasta donare a un senzatetto
(spoiler: molto poca)

Conosciamo tutti la tragedia che ha colpito il mondo negli ultimi anni, unendo e disunendo i popoli e lasciando segni indelebili nella nostra cultura: i live action, di cui non si può parlare senza nominare il colosso che, proprio di recente, ne ha creato l’esempio peggiore. Come avrete già capito, stiamo parlando di Barilla.

Per non rovinarvi la salute con sgradite sorprese, vi spiattello subito cosa stiamo per guardare: Lilli e il vagabondo, ma con gli esseri umani.
Godiamoci insieme la versione integrale in inglese, poi ridotta e doppiata per italiani con scarsa attitudine alla concentrazione.

Appuntamento al buio

Lei si prepara nel bagno della villa del consolato del Lichtenstein, i suoi abat-jour sono diamanti Koh-i-noor. Per introdurre con buongusto la narrativa dei cani, indossa un collare. Mancano giusto due gocce di Frontline.
Lui si prepara in una stazione di smistamento, il suo lavandino è un tubo di scolo.

Si incontrano su appuntamento in una di quelle città digitalizzate dei film che parlano di robot con il rivestimento morbido per fare compagnia agli incel. Lui appare ancora tutto sommato stabile; lei lo guarda con quello che dovrebbe essere innamoramento ma sembra più sindrome di Stendhal.

Pochi istanti dopo, lui comincia a soffrire qualche leggera sbavatura comportamentale: in bilico sul ponte, qualche salto qua e là, un simpatico trotto, movenze che per un uomo adulto non avvezzo alla cocaina sono un po’ delle avanguardie. Lo si voleva cane di strada e la combo ideale era cappotto pulcioso e comportamento erratico, io lo capisco: ma bisognava andare fino in fondo e fargli marcare il territorio su un cerchione, ringhiare a un gatto, ci voleva il coraggio di approfondire la metafora. Ma andiamo avanti.

Lei gli chiede dove stiano andando – non con il giusto terrore, beninteso, ma con l’aria di chi ha subito un’ipnosi criminale. Lui le risponde “andiamo!” che è veramente seccante: ti ha fatto una domanda, rispondi! Poi, non dirle “andiamo!” come se fosse lei a farti perdere tempo: ho visto musical gravitare sui lampioni molto meno di quanto stia facendo tu.

Ma niente, oh, lei ha perso il tono muscolare, quando lui le prende la mano sembra che abbia ricevuto il tocco della Madonna, che poi voi mi direte che non ho il romanticismo e sarà pure vero, ma un tale schianto emotivo si spiega solo se fino a quella sera aveva vissuto in una grotta coi pipistrelli della frutta.

Mentre i suoi genitori staranno attaccando i manifesti con scritto:

“Smarrita figlia-cana, non morde ma mette a disagio con lo sguardo.
Microchippata.”

lei segue lui nei sottopassaggi infimi come fossero dei corridoi nella Reggia di Caserta.

Giunti a un vicolo che odora di Fentanyl, lui se ne esce con:

“Tony, ma certo! Un posto molto speciale per un’occasione molto speciale!”

esattamente come nel cartone animato, con un’assenza di continuità narrativa che a un cane posso perdonare, a un uomo molto meno.

La prima iniziativa assennata della ragazza è entrare dalla porta giusta, ma lui ha altri piani.

“Da questa parte! Ho la mia entrata privata!”

Assicura, spostando lamiere e giocandosi la servitù di passaggio con ratti colerici.

Il caos

Lei finalmente comincia ad avere un’ombra di timore, ma non ha tempo di tirare fuori lo spray al peperoncino dal cappotto che esce un cuoco. Tra i due uomini c’è un caloroso abbraccio, da quanto tempo, la vaga idea che non si vedano da quando dividevano la stessa cella.
Poi il cuoco vede la ragazza: è il caos. La regia dà un delirante rincaro dell’atmosfera canina, con il sonoro di un latrato di cane; non si capisce ancora se per il disgraziato espediente dell’abbaio o per il fatto che la ragazza sia vera, il sous-chef scappa, scosso, senza dire una parola, mette le rotelle ai piedi. Lì pensiamo davvero che stia chiamando le forze dell’ordine perché il ragazzo-cane ha un divieto di avvicinamento nei confronti di tutte le donne della città. Col senno di poi, magari: in realtà il cuoco recupera delle casse marce su cui far accomodare i due sfortunati.

Corre quindi da chef Oldani, rivelandogli trafelato:

“Biagio ha una fidanzata!”

Nient’altro, solo questa annunciazione miracolosa: Biagio (in inglese Buddy) è riuscito a convincere una ragazza a uscire con lui. Oldani reagisce come un padre ultracattolico che ha sempre creduto che il figlio fosse gay, ma ora che gli hanno detto che ha portato una donna la vita riprende di nuovo colore, bisogna festeggiare con ‘due specialità’.
L’altro cuoco è più sulla linea ‘fratello di mente aperta a cui piace festeggiare il Natale senza imbarazzi a tavola’ e, per fedeltà all’originale, se ne esce a spiegare la consecutio apparecchium ai due sul retro, rapportandosi a loro proprio come se fossero cani:

“Prima si apparecchia…”

(ma vi immaginate se vi dicessero così al ristorante, dopo che vi siete seduti? “E questi… sono… gris-si-niiii”)

e prende pure in giro, perché quello non è un fiasco vero, è il segnaposto del Monopoli.

Oldani conclude la preparazione con una bella grattata di sapone di Marsiglia, poi presumibilmente mette i piatti a servizio, ma quando il collaboratore li sta portando alle baracche cambia idea, e lo ferma:

“UNO SOLO!”

Le due specialità sono diventate una: ora quantomeno sappiamo che Biagio non paga.

Arriva il piatto.
Parliamo quindi del piatto.

Il canigrammo

Vi ricordate il pasto donato da Tony nel cartone animato? Sei etti di spaghetti con polpette al sugo, un immaginario talmente solido da creare aspettative universali su quello che stiamo per vedere.

E invece no. Pasta con olio e un sospiro greve di formaggio. E io vi conosco, non aprite Outlook apposta per scrivermi che è pregiatissima ricotta salata, che le cose migliori sono quelle semplici, che le polpette con la pasta non sono italiane e così ritorniamo ad essere autentici. Buddy si lava per strada, ha fame. Non lo fanno entrare dalla porta principale, figurarsi farlo riparare all’interno. Gli danno da mangiare in cortile su casse di legno umido e l’unica volta che porta una compagnia, dimostrando che sono passati i tempi in cui mordeva le mani a tradimento, gli danno un piattino di pasta che rientra nella categoria tapas. Due forchettate a testa e che si scordino i tovaglioli.

La scena è straziante: arriva il piatto con un totale di otto spaghetti. Lei, che finora ha mostrato il temperamento di una medusa, non può che far trapelare imbarazzo, lo guarda come a dire “lo vedi anche tu, non ho le allucinazioni, dev’essere uno scherzo.” Lui la ricambia con uno sguardo di incontaminabile gioia, “Sì, infatti, ma ci credi?! Un pasto caldo!”

Ecco, Oldani, se invece del vinile gli mettevi su due bicchieri d’acqua era meglio, ma tu devi aver pensato che la stazione abbonda di tubature, non ha senso esagerare con l’ospitalità.

E adesso lo so cosa mi direte: che hai capito! La scena è esattamente come l’originale, i cani non avevano bicchieri ma il fiasco candela sì, è un omaggio! Sarà pure un omaggio, ma i cani del cartone animato avevano un cesto di filoncini di pane sulla tavola e musica dal vivo.

Lilli e il vagabondo scena spaghetti Disney

Nella rivisitazione antropica, invece, la misura della donazione è ciò che potremmo chiamare canigrammo: quello sputo di pasta che si dà al cane per sfinimento, per farlo contento – ma comunque non troppo perché dentro ci sono le cipolle, che gli fanno male.

Finisce così, con Oldani pronto a fare brutto per un innocente accenno di contatto fisico tra colleghi, Biagio ancora incapace di una vera interazione ma che in fondo è solo contento di aver riempito la pancia – di lei che si può dire, il suo picco di personalità è stato indossare il collare –  l’idea di fondo che l’alimento più democratico che esista vada meglio servito con spilorceria, come se l’atteggiamento elitario fosse l’unico antidoto allo stereotipo del ristoratore immigrato analfabeta con problemi di rabbia, e la speranza che nella metropoli distopica che li circonda ci sia ancora qualcuno che sappia riempire un piatto di pasta. O magari due.